Antonio di Padova: la franchezza, l'energia, l'azione

Solennità liturgica nelle chiese della città di Padova, in tutte le chiese della Diocesi si celebra il

“Santo” con il grado di Festa.

Due qualità caratterizzano il suo stile di apostolato e di predicatore: la libertà di linguaggio che non tace la verità per timore e la lotta contro coloro che si oppongono alla verità, che calpestano la giustizia.

Franchezza ed energia compenetrano il suo discorso e la sua azione.

La sua predicazione ha le risonanze più larghe nella società. In questo senso, egli è l’evangelizzatore di tutti, il difensore dell’uomo concreto, dell’uomo che si sente minacciato dal male interiore e dalle situazioni esterne; dall’uomo che presume di non aver bisogno di salvezza e confida nella ricchezza; dell’uomo che pretende di servirsi della Parola di Dio anziché servirla e obbedirle.

«Chi è pieno di Spirito Santo parla diverse lingue» ma aggiunge subito che «le diverse lingue sono la varie testimonianze di Cristo: così parliamo agli altri di umiltà, di povertà, di pazienza e obbedienza, e parliamo queste lingue quando mostriamo agli altri queste virtù, praticate in noi stessi»

(Sermone Domenica di Pentecoste (1)V,16).


Non è facile – o quantomeno non è immediato per noi – addentrarsi nei Sermones, ove Antonio mette tutta la sua precedente formazione a servizio dell’impegno d’evangelizzazione assunto nella famiglia francescana: occorre conoscere il contesto culturale, teologico ed ecclesiale del tempo. C’è bisogno di un «tutorial» che ci faccia comprendere come erano intesi in quel tempo i commenti (le «glosse») alla Scrittura, a che punto era il cammino teologico, la comprensione biblica letta con i quattro sensi (letterale, allegorico, morale, anagogico). Insomma, abbiamo bisogno di uno «schema base», comprendente anche il modo originale con il quale Antonio tratta le fonti e concepisce il lavoro. Il santo stesso, – Doctor evangelicus (Pio XII, 16 gennaio 1946) –, ci fa da «tutor» indicando in ogni commento di cosa vuole trattare e accentuando il senso morale del suo lavoro perché, alla fine, è la Parola accolta che trasforma la coscienza e diventa, per davvero, vita vissuta.  Ascoltiamo Antonio: la Scrittura è la terra feconda che produce prima l’erba, poi la spiga e infine il chicco maturo nella spiga. In questa densa frase del prologo che prende spunto dal libro del creato, troviamo tre sensi del testo sacro (allegorico, morale, anagogico) sposati con le tre virtù teologali (erba-senso allegorico-collegato con la fede; spiga, s. morale, carità; chicco, s. anagogico, speranza). Quanta ricchezza! Coraggio: con un po’ di pazienza e di lettura «assistita», possiamo addentrarci anche noi nel libro dei Sermones che magari fa bella mostra nella biblioteca personale o conventuale.

Vorrei evidenziare la somiglianza dei tempi di Francesco ed Antonio con i nostri quanto alla predicazione e alla fondamentale preparazione. La prima fraternitas s’incaricò sin da subito – con uno stile testimoniale, «dentro» e non «contro» la Chiesa – delle istanze del Concilio Lateranense IV (1215) che proponeva la riforma dell’intero tessuto ecclesiale a partire dalla ripresa della predicazione da parte dei vescovi e di collaboratori da loro designati. La pericolosa «concorrenza» era costituita dall’aumento di movimenti ereticali, ben più attivi e capaci di spiegare in lingua volgare la Scrittura intercettando il bisogno del popolo di rinnovamento evangelico. Una vittoria facile per gli eretici: il clero non eccelleva per costumi, non predicava, non era formato.

Quanto a noi viviamo, nel post Concilio, il tempo della «nuova evangelizzazione» (cf. Giovanni Paolo II), della necessità – più prioritaria che mai – di saper comunicare, con i linguaggi più appropriati, la gioia del Vangelo (cf. Papa Francesco, Evangelii gaudium). Francesco ci esorta a farlo con la nostra stessa vita secundum formam sancti Evangelii, (la predica più riuscita!); Antonio lo segue, incalzando che una buona preparazione è un atto d’amore al Signore e alle persone, oltre che occasione di personale e comunitaria conversione. Per poi donare la Parola entro lo stile francescano: con umile cordialità, senza discorsi «alti» (preferire il verbum abbreviatum), andando alla vita concreta (vizi e virtù), certificando il tutto con la propria vita da frate minore e lieta (cf. Regola bollata, III). Nell’apparizione di Arles, Francesco «conferma» Antonio che sta tenendo ai confratelli un sermone sulla croce (il fatto è più volte riportato nelle Fonti Francescane).

Un ultimo flash: la bravura del predicatore è passare dallo studio alle persone concrete. Ci piace così pensare ad Antonio (arca testamenti, secondo l’espressione di Gregorio IX), capace di passare «dal libro alla folla» (cf. titolo del libro di A. Rigon) e di parlare la lingua di tutti, di farsi intendere da ognuno. La sua lingua ancor incorrotta e venerata a Padova, è per noi segno eloquente di quanto ciascuno di noi, con la predicazione di vita-opere-parole può essere umile ed efficace ministro della gioia del Vangelo. Senza dimenticare il credito immenso che la gente dà ancora a noi frati, sentendoci vicini a loro, come i frati del popolo.

«Frate Antonio, al quale Iddio diede l’intelligenza delle sacre Scritture e il dono di predicare Cristo al mondo intero con parole più dolci del miele» (frate Tommaso da Celano, Vita Prima XVIII: FF 407), accompagnaci con la tua sapienza e il tuo coraggio nel servizio dell’evangelizzazione!


Fra Giovanni Voltan

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