chi dice donna...
Le cose non sono più solide e ben definite come una volta (o nei nostri sogni), tanti rapporti sono saltati.... Un invito ad abbandonare gli stereotipi sulla famiglia. Quelli che la vogliono salda e perfetta, quelli che la ritengono oramai distrutta, quelli che la considerano solo un rifugio, quelli che la disprezzano, quelli che “per fortuna che c’è” e quelli che “non è più la famiglia di una volta”. Il mondo, insomma.
In questa danza i personaggi si trasformano, se ne aggiungono nuovi, altri scompaiono per riapparire in modo diverso. I nonni (la storia, il passato, i mondo di prima) divisi fra un ruolo di sostituti di genitori affaccendati, per uno stato sociale pressoché inesistente, e una nuova affettività che la modernità esige. Le zie e gli zii che possono dare “istruzioni per la vita”.
Gli animali (il creato... pensiamoci) che assumono nuova importanza e obbligano persino ad un ripensamento teologico.
Sì, la famiglia è una danza, imprevedibile e fantasiosa, non sempre festosa, qualche volta tragica, in cui la storia si mescola con la quotidianità, la tradizione con la modernità, la religione con la storia.
E allora vediamo: che cosa è la famiglia per l’ebraismo e per l’islam, che cosa è diventata per la chiesa cattolica dopo il concilio di Trento? È possibile pensarla uguale a se stessa o esige un altro passo quella che oggi non genera, in Occidente, ma in Italia in particolare, dove per paura e incertezza del futuro le culle rimangono vuote? E quella che per vivere ha bisogno di importare l’amore e
l’accudimento da persone che vengono da lontano e che devono, per questo, abbandonare la propria? L’amore nel mondo moderno si trasferisce, viene importato ed esportato da una famiglia all’altra.
La danza, poi, assume mosse tragiche quando la guerra ci mostra famiglie che vivono dove cadono le bombe.
Forse un sogno ad occhi aperti, o forse chissà...
In senso positivo, anche la Chiesa è (dovrebbe essere) una famiglia. Anche qui, tutto liscio...?
E in questa famiglia, se cominciassimo a riflettere da chi molto spesso "è lasciato in cucina?"-
Entro nella Settimana santa con una parola e una dimensione particolare: DONNA.
Una sottolineatura originale, strana... apparentemente.
Io credo sia un ponte necessario quello che come Chiesa dobbiamo (ri) progettare nei confronti del mondo femminile: dovremmo farlo ripercorrendo in senso inverso quanto le donne hanno fatto (specie alle origini) nei confronti dei discepoli. O si è Chiesa insieme, differentemente, al plurale... o non si è autenticamente Chiesa.
Alcune di queste riflessioni mi sono state suggerite dal supplemento mensile dell'Osservatore Romano (interamente pensato e scritto al femminile): DONNE, CHIESA, MONDO
La vita delle donne, praticamente da sempre, si confronta con una considerazione rasente lo zero e funzionale alla vita degli uomini (moglie, madre dei suoi figli, serva, favorita, preda, bottino, vittima...) con l'obbiettivo di essere considerate come persone, per quello che in realtà sono.
La luce della Pasqua ci dona i legami e i valori autentici dell’essere donna.
L'esperienza della passione e della morte ci dona alcune figure femminili come autentici "passaggi esistenziali": compagne di strada, prime testimoni, evangelizzatrici. Senza questi passaggi, la Chiesa non ci sarebbe, eppure sembra esserne scordata. Sarebbe altrettanto sbagliato "far fare qualcosa", concedere qualcosa alla donna nella Chiesa e pensare così di aver sistemato le cose: mancherebbe il passaggio esistenziale di guardare al mondo femminile per quello che è e da questo ripartire.
In cosa si è declinata la sensibilità e la fede femminile in questi anni, per esempio? Ci sono frutti meravigliosi di spiritualità, riflessione, carità, educazione... è sufficiente coglierli e limitarsi a sfruttarli?
Sarebbe una strumentalizzazione assolutamente miope, rinunciando oltretutto ad una reciprocità e ad un arricchimento che farebbe veramente fare un salto di qualità. Non è possibile continuare ad avere una visione funzionale, ne tantomeno un pensiero unico.
I discepoli di Cristo hanno raschiato più volte di smarrire la strada: la Pasqua non può essere semplicemente il "lieto fine" che non fa più pensare all'importanza della strada fatta (e agli errori commessi), ai punti di riferimenti e alle testimoni che hanno fatto entrare la Chiesa nella dimensione pasquale.
Ripropongo un testo davvero illuminante, a mio parere.
La famiglia di Gesù estende i vincoli creati dal matrimonio e dal parto
di AMY-JILL LEVINE
web | https://www.osservatoreromano.va/it/pdfreader.html/dcm/2022/04/DCM_2022_004_0104.pdf.html
«Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa» (Giovanni 19, 26-27).
Gesù inaugura una famiglia che estende i vincoli creati dal matrimonio e dal parto. Per Gesù «Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» (Marco 3, 33-35).
I versi del Vangelo di Giovanni sopra citati aprono la conversazione su donne e famiglia a molteplici osservazioni. Eccone quattro.
1 | Anzitutto, Gesù
istituisce ciò che gli antropologi chiamano “unità di parentela fittizia”,
ovvero famiglie non definite dal matrimonio o dalla biologia. Le religiose,
dette “sorelle”, sono un esempio di tali unità. L’invito di Gesù a
entrare in questa nuova famiglia sarebbe stato particolarmente apprezzato dalle donne
che avevano rifiutato il matrimonio, dalle vedove o le divorziate, dalle donne
sterili o da quelle i cui figli erano morti.
2 | In secondo luogo,
la maggior parte delle donne che Gesù incontra non sono accompagnate da un
marito: Maria e Marta, Maria Maddalena, Giovanna e Susanna, la suocera di
Simone. Fatta eccezione per Maria e Giuseppe, Gesù parla una sola volta, o
forse due, con una coppia sposata (potete indovinare di chi si tratta). Per
Gesù l’identità non è determinata esclusivamente o principalmente dal
matrimonio o dal parto.
3 | In terzo luogo,
secondo la tradizione, questo discepolo che egli amava che sta ai piedi della
croce è l’apostolo Giovanni, la cui madre appare in Matteo 20, 21-22.
La “moglie di Zebedeo” chiede a Gesù: «Dì che questi miei figli siedano uno
alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Non si rende conto
delle implicazioni della sua richiesta. Le due persone alla destra e alla
sinistra di Gesù saranno i due che verranno crocifissi con lui (cfr.
Matteo 27, 38). Nei pressi della
croce, dove solo Matteo situa la moglie di Zebedeo, la donna si rende conto del
significato della sua domanda, come anche dei sacrifici che Gesù chiede alla
sua nuova famiglia.
Nel Vangelo di Matteo
la moglie di Zebedeo è vicina alla croce, ma non accompagna le altre donne al
sepolcro. Né, secondo Matteo 26, 56,
vicino al sepolcro ci sono i discepoli, poiché essi hanno abbandonato Gesù.
Posso immaginare che dopo la crocefissione quella
madre devota sia ritornata in Galilea per infondere coraggio ai propri figli. E
identificando il discepolo che egli amava con Giovanni figlio di Zebedeo,
apprendiamo anche che la madre di Gesù troverà la compagnia di un’altra madre
il cui figlio è stato ucciso dall’autorità politica locale, poiché Erode
Agrippa fa uccidere Giacomo a Gerusalemme (cfr.
Atti 12, 2).
4 | In quarto luogo,
in Giovanni 19, 26 Gesù chiama sua madre “donna”, lo stesso appellativo
che usa per molte altre donne, laddove ogni riferimento è collegato a una
famiglia. Durante un matrimonio, l’inizio di una nuova famiglia, la madre
di Gesù, che nel quarto
Vangelo non viene mai chiamata Maria, dice al figlio che è finito il vino. Gesù
risponde letteralmente: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la
mia ora» (2, 4). La madre, per nulla
turbata, dice ai servi di obbedire alle istruzioni di Gesù. È una madre che
capisce
suo figlio e lui è un figlio
che ascolta sua madre. Alla Samaritana al pozzo Gesù dice: «Credimi, donna, è
giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il
Padre» (4, 21). La ripetizione delle parole “donna” e “ora/momento”
collegano il vino di Cana all’acqua viva di Samaria. Poi Gesù le dice: «hai avuto cinque
mariti e quello che hai ora non è tuo marito» (4, 18).
Quanti vedono la donna
come sessualmente discutibile, divorziata da uomini senza cuore o altrimenti disonorevole
impongono al testo visioni sbagliate.
Se la donna fosse
stata disonorevole, i samaritani non le avrebbero creduto quando ha annunciato di
avere incontrato il Messia (cfr. 4, 29).
Questa prima evangelizzatrice, dunque, favorisce un matrimonio simbolico tra
Gesù e il suo popolo.
La terza volta che
Giovanni usa la parola “donna” è in un passo che manca nei manoscritti più antichi
del Vangelo di Giovanni, ovvero quello della “donna sorpresa
in adulterio” (8, 1-10). Le persone che
interrogano Gesù, mettendolo alla prova, gli domandano: «Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di
lapidare donne come questa. Tu che ne dici?» (8, 5).
Non cercano di uccidere lei, bensì di cogliere in trappola Gesù. Se Gesù dirà “lapidatela”,
lo condanneranno come barbaro, poiché la tradizione ebraica cerca di evitare la
pena capitale. Se egli dirà “non lapidatela”, possono mettere in discussione la
sua autorità. Gesù sfugge al tranello con la famosa frase con cui invita chi è senza
peccato a scagliare la prima pietra.
Quando le persone che
hanno interrogato Gesù se ne vanno, egli domanda: «Donna, dove sono? Nessuno ti
ha condannata?» (8, 10). Lei risponde: «Nessuno,
Signore». E Gesù le dice: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare
più» (8, 11). Gesù non la perdona
– questo eventualmente potrebbe spettare al marito. Tuttavia
concede a lei, e al
suo matrimonio, una seconda opportunità. Infine, gli angeli nel sepolcro
domandano a Maria Maddalena «Donna, perché piangi?» (20,
13). Gesù ripete «Donna,
perché piangi?» (20, 15). Maria scambia Gesù
per il custode del giardino; lo riconosce solo quando lui la chiama per nome.
L’incontro di Maria
con Gesù – in un giardino, l’errore di persona, il riconoscimento – suggerisce un
romanzo ellenistico, racconti popolari di amanti separati. Ma allo stesso modo
in cui Gesù non sposa la donna incontrata al pozzo (contrariamente a Rebecca e Isacco,
Rachele e Giacobbe, Zippora e Mosè) così ancora una volta rompe le convenzioni
dicendo alla donna di smettere di trattenerlo e di andare a proclamare la sua
risurrezione.
L’obiettivo, qui, non
è il matrimonio, bensì essere apostola per gli apostoli.
Ogni “donna” mostra, per così dire, doni, necessità e situazioni familiari distinte. Tutte sono bene accette nella famiglia di Gesù, dove madri e sorelle sono definite da ciò che fanno e non dallo stato coniugale o dal parto.