esperti di che...?

Occorre chiedersi quali siano le dinamiche per riuscire a leggere il comunicare della Chiesa e il suo dialogare con il mondo, oggi. A mio avviso, le prospettive autentiche di questa missione sono: essere esperti e generosi, farsi prossimo e donare, essere credenti e credibili.
Occorre vincere però l’illusione (o pretesa) di essere contemporaneamente messaggero e messaggio (rischio di essere autoreferenziali): la Chiesa annuncia Cristo o annuncia se stessa?

Esperti. Se la Chiesa è percepita come giudicante o “sapientona” (soltanto lei “sa le cose”), inevitabilmente c’è un allontanamento, una grossa crisi nella relazione con le persone. Riflettendo sui motivi di questa frattura, valutando ogni componente del comunicare ecclesiale, occorre chiedersi come e da cosa sia maturata questo percepito abbastanza negativo e problematico nei propri confronti. La buona semente, l’acqua buona (che non è la Chiesa… ma Cristo) viene donata: come mai non si vedono frutti?

  • Ci si è appropriati di quanto deve essere donato, ci si è dimostrati poco credibili in questo
  • Il campo in cui si viene a operare, lo conosciamo, è stato preparato, custodito, coltivato, accompagnato?
Se la risposta resta il convincimento di aver fatto bene e che sono gli altri  a non capirci, non è neppure necessario “cambiare mestiere”: ce lo hanno già fatto capire le persone, non venendo più da noi, preferendo altro, cambiando i propri gusti e le proprie scelte.

«Se vuoi costruire una nave,
non devi per prima cosa affaticarti a chiamare la gente
a raccogliere la legna e a preparare gli attrezzi;
non distribuire i compiti, non organizzare il lavoro.
Ma invece prima risveglia negli uomini
la nostalgia del mare lontano e sconfinato.
Appena si sarà risvegliata in loro questa sete
si metteranno subito al lavoro per costruire la nave»
.

Antoine de Saint-Exupery
IL PICCOLO  PRINCIPE 


In queste giornate così delicate e dolore, di guerra, di sofferenza, di crisi... sorgono tantissime domande: soprattutto, cosa dire... non tanto per vare ragione o meno... ma per accompagnare veramente le persone.
Due pagine che mi hanno aiutato molto a riflettere:

  Papa Paolo VI  
  «Siamo esperti di umanità»  

articolo di Armando Torno
SOLE 24ORE | 30 settembre 2015

https://st.ilsole24ore.com/art/cultura/2015-09-30/paolo-vi-siamo-esperti-umanita-085021.shtml?uuid=ACtTqL7

Correva il 1965. In Cina iniziava la rivoluzione culturale, a New York il capo della setta dei “musulmani neri” Malcom X veniva ucciso e la sonda spaziale sovietica Zond 3 inviava immagini della parte nascosta della luna.
Fu in quell'anno, il 4 ottobre per la precisione, che papa Paolo VI si recò alle Nazioni Unite. E' il primo pontefice a compiere lo storico passo in un periodo che ricordiamo come quello della “guerra fredda”.

Mezzo secolo non è passato invano. In questi giorni siamo stati sommersi dalle notizie del viaggio di papa Francesco a Cuba e negli Usa, dei successi avuti e degli appelli fatti, ma tutto cominciò con meno clamore in quell'ottobre del 1965. Paolo VI, uomo dalle mille domande e con una sofferenza interiore che ancora commuove chi ripercorre anche qualche frammento della sua esistenza, andò all'Onu per dire “no” alla guerra, per parlare a nome del Concilio, per ricordare la grande esperienza della Chiesa. Una sua frase andrebbe scolpita, scritta, ripetuta: “Siamo esperti di umanità”.

Non fu la sola indimenticabile. Quella pace che noi cerchiamo continuamente e non riusciamo a trovare (oggi nel mondo sono in corso almeno una ventina di piccole guerre di cui non si hanno notizie), Paolo VI l'aveva evocata con parole che toccano ancora: Non si costruisce soltanto con la politica e con l'equilibrio delle forze e degli interessi, ma con lo spirito, con le idee, con le opere di pace”.
E aveva compreso quello che alcuni filosofi e sociologi continuano a commentare senza esito: “Il pericolo non viene né dal progresso né dalla scienza: questi, se bene usati, potranno anzi risolvere molti dei gravi problemi che assillano l'umanità. Il pericolo vero sta nell'uomo, padrone di sempre più potenti strumenti, atti alla rovina e alle più alte conquiste”.

Quel discorso all'Onu è l'inizio di qualcosa che oggi cominciamo a comprendere. Fu una sfida al mondo (il Papa andò come capo di Stato), resta un momento di luce in mezzo alle logiche delle potenze contrapposte, al disastro del Vietnam, agli interventi armati dell'Urss, alle oppressioni delle rivoluzioni culturali che spaccavano le dita a chi suonava “musica borghese”. Il '68 cercherà di far giungere l'immaginazione al potere, Paolo VI chiese al potere di usare l'immaginazione per sospendere ogni violenza.

Non importa se i risultati non si sono ancora visti o non si vedranno a breve. Quello che conta è un messaggio che non muore, proferito da un esile papa. Ora il testo di quel discorso, con la riproduzione manoscritta di Paolo VI, la trascrizione con le correzioni diplomatiche e lo scritto ufficiale, precedute da un'ampia introduzione di Andrea Riccardi, sono diventati un libro: “Manifesto al mondo” (Jaca Book, pp. 128). In queste pagine ci sono idee di cui abbiamo ancora bisogno.

 

  Papa Giovanni XXIII  
  “L’antica fontana del villaggio”  

don Emilio Grasso
Ypacaraí (Paraguay) | 13.09.2013

http://www.missionerh.com/site/index.php/it/rubriche1/scritti-di-emilio-grasso/omelie-e-discorsi/922-la-parrocchia-l-antica-fontana-del-villaggio-omelia-in-occasione-del-126-anniversario-di-fondazione-della-citta-di-ypacarai

Nella lingua greca, parrocchia si dice paroikía che significa “vicinanza”. Deriva dal verbo paroikéo che significa “vivere vicino”. La parrocchia: la casa che vive vicino alle altre case, è la casa dei vicini, di tutti.

Papa Giovanni XXIII, parlando della Chiesa, la definiva come “l’antica fontana del villaggio che dà l’acqua alle generazioni di oggi, come la diede a quelle del passato”.

Questa definizione può senz’altro applicarsi alla parrocchia, in forza di quanto afferma il Concilio Vaticano II nella Costituzione sulla Sacra Liturgia: “Le parrocchie … rappresentano, in certo qual modo, la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra”. L’immagine è davvero bella e suggestiva.
“Beati quelli che hanno sete!”, abbiamo ascoltato nella lettura del Vangelo.

La fontana del villaggio continua a essere lì. È vero, lo sa molto bene la saggezza dell’antica fontana che, se non andiamo oggi, forse andremo domani o quando saremo vecchi e scopriremo una sete che è come un fuoco che ci brucia e che nessuna acqua potrà spegnere. 
Gli operai della fontana devono avere pazienza. Quello che non succede oggi, forse potrà succedere domani o col passare del tempo.

Quello che conta è che la fontana continui a vivere presso i suoi vicini, vicino a tutti: che la fontana continui a dare a tutti quell’acqua che dà vita e vita eterna; acqua che sgorga da una fontana di una bellezza unica, perché – come diceva sant’Agostino – è una “bellezza antica e sempre nuova”.

Per questo che comprendiamo perché l’antica fontana del villaggio, che non è un museo di archeologia, continua a dare “l’acqua alle generazioni di oggi, come la diede a quelle del passato”.

La sua fecondità, la bontà e la salubrità della sua acqua, “non è data – come afferma Papa Francesco né dal successo, né dall’insuccesso secondo criteri di valutazione umana, ma dal conformarsi alla logica della Croce di Gesù, che è la logica dell’uscire da se stessi e donarsi, la logica dell’amore”.

Quello che conta è che la fontana continui a essere fedele al Datore dell’acqua, non dimenticandosi mai che è solo uno strumento, un povero strumento, al servizio di Colui dal cui seno sgorgò acqua viva che dona vita e felicità.

La fontana deve ricordare che – come insegna Papa Francesco – “la missione è grazia. … La diffusione del Vangelo non è assicurata né dal numero delle persone, né dal prestigio dell’istituzione, né dalla quantità di risorse disponibili. Quello che conta è essere permeati dall’amore di Cristo, lasciarsi condurre dallo Spirito Santo, e innestare la propria vita nell’albero della vita, che è la Croce del Signore”.