hospes: vita di frontiera

Prossimità: essere ospitali usando la testa. Mettersi al servizio, creando incontro.
I rischi e i limiti del profitto facile e del "seguire la pancia".
Una radice molto cristiana, arricchente e di grande valore: HOSPES
Da qui: ospedali, ospizi, ostelli, come pure gli attuali Hospice per la cura e l'accompagnamento dei malati termimali.
C'è anche un termine più laico, più di frontiera.
Il termine "osteria" viene dall'antico francese oste, ostesse (secoli XII e XIII) che a sua volta deriva dal latino hospite(m).
Una delle prime attestazioni del termine hostaria si trova nei capitolari della magistratura dei Signori della Notte, che, come suggerito dal nome, vegliava sulla tranquillità notturna della Venezia del XIII secolo.
L'etimologia della denominazione attuale richiama la funzione del luogo che è appunto quella dell'ospitalità.
Locali simili alle osterie esistevano già nell'antica Roma chiamati enopolium, mentre nei thermopolium si servivano anche cibi e bevande caldi, mantenuti a temperatura in grandi vasi di terracotta incassati nel bancone: esempi ben conservati sono visibili presso gli scavi dell'antica Pompei.
Le osterie sorsero, come punti di ristoro, nei luoghi di passaggio o in quelli di commercio che nella fattispecie sono strade, incroci, piazze e mercati.
Ben presto divennero anche luoghi d'incontro e di ritrovo, di relazioni sociali. Gli edifici, spesso poveri e dimessi, assumevano importanza in base al luogo dove sorgevano e alla vita che vi si alimentava.
Una sottolineatura: forma - funzione che nasceva daĺla lettura dei bisogni e dal puntare sulle potemzialità del.terrtorio e del contesto di vita. Usare la testa per creare un servizio.
Il vino era l'elemento immancabile intorno al quale tutti gli altri facoltativi giravano: il cibo soprattutto... ma anche un giro di profitto (camere da letto) che da ospitalità che poteva degerare (camere ad ore e prostituzione).
Altra sottolineatura: la fragiltà e la forza di essere frontiera: lì dove serve, senza tanti fronzoli. Ma occorre esserci e proporsi in maniera credibile e generativa.
Non serve apparire o pensare che presentarsi bene sia.tutto: se non c'è sostanza non dura, se non mi trovo bene, lì non ci torno più.
Varcare il confine è un attimo: c'è rendita, ci sono asptettarive... agendo "di pancia" va bene tutto, si giustifica tutto.
Incontrare le persone dove vivono, significa uscire e accettare di creare insieme: prossità e co-creazione.
Pensare di avere tutto, di essere nel giusto, avere sempre l'iniziativa per "non sporcarsi con l'altro" crea una comunicazione asimmetrica... non un abbraccio, ma una sopraffazione.
Rischiamo di far male, innescando una "dissonanza cognitiva" costringendo alla difensiva, a sopravvivere al disagio, con "nkn scelte / non risposte" che vertono soprattutto su:
◇ accontentarsi di cose "a buon mercato" davanti a te che fai pagare un prezzo troppo alto o esclusivo, spacciando per verità solo il tuo modello di vita. (dimensione "price").
La frontiera / l'osteria è vincente nel non richiedere chissà quali strutture, ma chiede il prezzo di esserci e di essere tu (valore aggiunto) a fare la differenza: far "sentire bene" gli altri.
◇ rifugiarsi in una confort zone. Siccome non capisco cosa mi offrono: non rischio, non cambio mai, mi fido solo delle mie percezioni.
Scelgo quello che mi rassicura (dimensione "brand").
Giocare sul consenso, sfruttando aspettative e insicurezze vuol dire accettare / approfitare di tutto. Non importa cosa succede "al piano di sopra"... tanto, io ho intascato.
◇ Alla lunga, volendo portare gli altro dalla mia parte, nessun farà più un passo in più, non si fideranno. Crescere e svilupparsi non conviene.
Provochiamo un appiattimento di valori e di relazioni: un enorme "passaparola" (dimensione "advocacy").
"Fai come vuoi" o "che se la sbrighino loro" è un moderno ponte levatoio che si tira su: il fatto che non si fidino di me viene mascherato da "io basto a me stesso".
La vita "di osteria", aĺlora... non è poi così male.