prediche, cose in streaming e… «neanche un prete per chiaccherar»

Poche parole come i versi di una canzone hanno saputo tratteggiare il rapporto della gente con un
prete e in qualche ritraendo una certa religiosità o il rapporto con la fe-de, simboleggiata in un “non – incontro”.

Sembra quand'ero all'oratorio
Con tanto sole, tanti anni fa
Quelle domeniche da solo
In un cortile, a passeggiar
Ora mi annoio più di allora
Neanche un prete per chiacchierar
AZZURRO
testi: Vito Pallavicini
musica: Paolo Conte

Parole anche semplici, ma non banali: sottolineano che l’essenza dell’essere prete e chiesa che annuncia, prima di ogni altra cosa, è il relazionarsi.
Se i tanti discorsi, documenti, direttive e soprattutto censure e processi sono stati da sempre oggetti di critica nei confronti della Chiesa, anche il fare e l’essere caritatevoli (scelte sempre apprezzate dalla società e dalle persone) ha bisogno di un perché e di uno stile personale. Non conta solo il come: è assolutamente fondamentale il perché delle scelte di un prete come della Chiesa. Si devono poter leggere fare propri i suoi valori di riferimento.

Il Cardinale Martini nel 1980 inizia il suo ministero di Arcivescovo a Milano: molti si sono stupiti della scelta fatta per una diocesi tra le più grandi del mondo, di un uomo che “si era occupata sinora solo di Bibbia” (che non sarebbe male come “accusa” per un vescovo): a chi poteva dubitare del bisogno di radici profonde per “l’agire cristiano”, il Card. Martini risponderà soprattutto con le sue Lettere pastorali, di cui amo ricordare “Farsi prossimo” (del 1985), pagine che hanno accompagnato la mia forma-zione e le mie scelte di prete.

farsiprossimopng
TESTO LETTERA PASTORALE
http://www.santagostino.mi.it/wp-content/uploads/2017/01/Farsi-prossimo-Martini.pdf


Tornando alle righe della canzone “Azzurro”: l’assenza del prete si fa sentire, lascia un segno… è per troppo lavoro? Fermarsi a parlare con qualcuno, sembra tempo perso? È una scelta “strategica”: gli obiettivi sono altri, accompagnare e educare un ragazzo richiede troppo tempo?
Le motivazioni possono essere le più disparate ed ognuna può avere una sua legittimazione. Quello che è chiaro è il messaggio, la percezione nei suoi confronti: non esserci, un’occasione mancata, un senso di vuoto… forse un inizio di allontanamento, due percorsi che si distaccano.

Credo sia importante riflettere quali scelte ci possano aiutare a focalizzare il passaggio del nostro essere cristiani oggi, con un riferimento particolare alle nuove generazioni.
  • Quali valori e quali prassi cristiane vogliamo mettere ala base del nostro agire come preti e come Chiesa?
  • Senza rinunciare all’operatività, possiamo studiare e mettere in pratica, con quale stile pastorale desideriamo cercare di proporre delle soluzioni e, coerentemente, viverle in prima persona?
Nella tradizione della Chiesa, un passo di maturità e di crescita è quello dell’accompagnare. Il Padre o consigliere spirituale, il discernimento, la regola di vita: grandi ricchezze a cui attingere, soprattutto esperienze profonde di grande valore spirituale, umano, relazionale.

Anche il rapporto di Gesù con gli apostoli nel Vangelo, è stato un lungo cammino fatto insieme: anche qui “non incontri”, fragilità, debolezze… ma anche soprattutto ricerca, fiducia, legami personali.
Non vorrei fare accostamenti irriguardosi, affiancando musica leggera e vangelo, ma pensando a ciò che ha motivato questo vuoto, la pagina di Emmaus (per fare un esempio) racconta proprio questo: mi sento vuoto, sono solo, avevo sperato… ma adesso?

Da cosa si riparte allora?
“Non ci ardeva forse il cuore, finché ci parlava lungo la strada?”
Se riusciamo a far battere il cuore (chiedendosi per chi batte il nostro di preti) riu-sciamo a mettere in cammino, rimettere in moto.
La strada fatta da ogni persona: non sentirla inutile, non sentirsi vuoti, non sentirsi soli.
Abbiamo strada da fare: chiediamoci come, preghiamo con chi la stiamo percorrendo (in terra, come in cielo… i compagni di strada non mancano).

“Collaboratori della vostra gioia, attraverso l'arte dell'accompagnamento”.
(Az. Cattolica – Diocesi di Crema).

Se volessimo trovare una modalità per raccontare il nostro ministero, queste parole di san Paolo indicano l’orizzonte e il metodo viene raggiunta l’arte dell’accompagnamento: “Collaboratori della vostra gioia” (2 Cor 1,24).
L’evangelizzazione sembra che oggi si declini non solo con l’annunciare, il comunica-re, l’offrire, ma abbia a che fare con qualcosa di più profondo, che coinvolga la per-sona e le Comunità sia nella sfera intellettuale, ma soprattutto in quella affettivo-relazionale.
Un’evangelizzazione che non sia solo primo annuncio (fondante ed essenziale), ma che diventi processo di educazione all’esperienza di fede: «ti accompagno».
Accompagnare dice vari significati. Papa Francesco spesso utilizza la felice immagine del pastore che si prende cura del suo gregge a volte stando davanti, altre volte stando in mezzo, altre volte stando in fondo, chiudendo la fila.
Il prete è chiamato anzitutto ad “esserci”; il prete è un segno di Gesù pastore che conosce le sue pecore, le chiama per nome, si prende cura di loro fino a donare la vita.

Ma anche questo “esserci” si declina in vari modi: c’è una presenza che si fa stimolo, pungolo, pro-vocazione; c’è una presenza che si fa vicinanza e condivisione: stare, abitare un’associazione, con le sue relazioni, i suoi travagli, le sue gioie e le sue fatiche; amare e imparare a lasciarsi amare. C’è una presenza che a volte chiede di essere discreta, rispettosa, capace di ascolto, di discernimento, di spirito di osservazione, e alcune volte, anche di silenzio. Altre volte invece si è presenti stando dietro per spingere ad andare avanti, non mollando la presa e non perdendo l’andatura.

Accompagnare non è facile. È faticoso: non offre una gratificazione istantanea; ha di-versi rischi, soprattutto la paura di sbagliare, di sostituirsi all’altro; di rimettere in discussione scelte e decisioni prese da tempo e sulle quali ti sentivi sicuro; il rischio di perdere una persona che magari hai accompagnato per molto tempo e poi decide di prendere altre strade. Accompagnare nella fede per un prete è l’avventura più impegnativa e più impervia, ma anche la più esaltante. Perché genera. Perché non sei una macchinetta automatica che offre alimenti preconfezionati, magari scaduti o avariati o non più desiderabili, ma doni ciò che sei, ciò che più contraddistingue la tua interiorità: il tuo essere prete, con le tue fragilità, talenti, competenze. E soprattutto doni un ‘Altro’, capace di “saziare la fame di ogni vivente” (cfr Sal 144[145],16).

Ogni sacerdote, è chiamato oggi più che mai ad essere “fecondo”, ovvero a riconoscersi ‘madre e padre’: ‘madre’ perché siamo chiamati a prenderci cura e a nutrire la fede dei figli; ‘padre’ perché siamo chiamati a incoraggiare, a stimolare, proporre, sostenere i cammini e i percorsi di fede, sia personali che comunitari. Padri e madri che imparano anche a lasciarsi amare, educare e ferire dai figli.
Accompagnare con l’annuncio della Parola, il discernimento dei carismi di ciascuno; il dialogo schietto e sincero, il confronto spirituale, la sua testimonianza di vita.

Ai laici, chiediamo di vederci così; di chiederci questo; di pretendere da noi questo: di servirvi nella modalità dell’accompagnamento nella fede, così da far maturare in voi (e in noi, mentre vi accompagniamo) la nostalgia di con-formarvi sempre più all’immagine di Gesù Signore, vivendo nel mondo; animandolo dal di dentro con co-raggio, entusiasmo, creatività e passione. Non da “stampelle” del clero, ma da protagonisti e corresponsabili della vita della Chiesa e del mondo, in profonda comunione con i propri pastori. Cristiani che sentono il desiderio di diventare sempre più “adulti” nella fede, spronandoci, (oseremmo dire, infastidendoci) ad offrire ‘cibo solido’ per la loro vita cristiana.

A volte noi sacerdoti ci sentiamo ‘un po’ giù’ perché tanta gente ci chiede tante cose, che tuttavia non sono specifiche del nostro ministero. Al contrario quando i fedeli ci domandano il pane della Parola, oppure un consiglio, un sostengo, un accompagna-mento nella fede, siamo contenti, perché ci riconoscono ‘pastori’!

Oggi più che mai occorre riscoprire tutte e due le direzioni: un prete che si senta sempre più pastore del suo popolo con le caratteristiche della maternità e della paternità insieme: che incoraggi, sostenga e nutra la fede dei suoi figli; e dall’altra parte un laicato generoso e lieto che, con gli occhi della fede, guardi ai suoi preti come ad accompagnatori: annunciatori della Parola che salva; comunicatori della Grazia, ‘facilitatori’ nel cammino di fede dei credenti e anche di chi vorrebbe credere, ma non ce la fa; di chi sperimenta un nuovo inizio oppure di chi si affaccia all’esperienza spirituale, magari per la prima volta.

WEB | http://www.acicrema.it/settori/percorsi/accompagnare/383-accompagnamento-spirituale