quale comunicazione per la Chiesa?

Da un capo all’altro del mondo l’atto del “varcare una soglia” rappresenta la separazione o la comunicazione tra due ambiti.

Non solo intesi come spazio fisico che delimita l’interno dall’esterno, ma anche come passaggio tra due livelli: il noto e l’ignoto, il profano e il sacro. Così come in una casa la porta definisce il limite tra il mondo estraneo e quello domestico, la porta di un tempio o quella di una chiesa identifica il passaggio tra il mondo profano e quello sacro e, a seconda che questa si apra o si chiuda, diventa il simbolo della separazione o della comunicazione.
Si accetta "anche di essere più fragili o vulnerabili" in nome del relazionarsi e di non essere un microcosmo che basta a se stesso.

Scegliere se aprire o chiudere, dire si o no, implica scelta e responsabilità. Una comunicazione che non interagisce, ma tende a difendere, decantare se stessi, cercare conferme all'infinito, pone la questione dell'autoreferenzialità, tante volte sottolineata da Papa Francesco.

La contraddittorietà della struttura fine a se stessa: puntare su forza, prestigio, sul segnare il territorio e marcare le differenze.
Non cogliere l'importanza degli strumenti e delle scelte da fare.

Una porta che restasse sempre chiusa implica un "fare muro" sotto mentite spoglie: mostrare altro e nascondere l'incapacità di relazione, il disinteresse per ciò che non sia noi stessi.
Anche una porta che restasse sempre aperta, sarebbe contradditoria: uno spreco, una mancanza di scelte e di attenzione: va bene tutto e far passare tutto.

Dal punto di vista comunicativo, perché aprire la porta, perché fare entrare qualcosa di estraneo in casa mia, nella mia vita?
È una scelta di prossimità: ci tengo all'altro e alla comunicazione, accetto di uscire e di comunicare.

Ma una volta usciti e accettato di non "essere più sul nostro", come muoversi?
Maturare la scelta di un percorso da seguire: soprattutto cercando e proponendosi in maniere credibile.
Non uscire, stare sulla soglia, non incontrare... non è credibile come comunicazione. Manca empatia e simmetria dell'incontro: ci si illude che basta fare la propria parte, senza aspettare o interessarsi di una risposta.

Per quanto impegno metti nel tuo lavoro, l’attenzione ai dettagli, i risultati che porti, i media dovrebbero parlare di te.
Il problema è: “Come attirare la loro attenzione?” uscendo allo scoperto. senza restare nel proprio salotto e far pesare quello che siamo...

Purtroppo oggi uno dei due più grandi nemici della comunicazione è la noia: è per questo motivo che chi fa comunicazione, cerca sempre la notizia più interessante da pubblicare affinché il lettore rimanga incollato al suo lavoro.
"Guarda che bella porta, dai un'occhiata, vieni dentro..."
Il messaggio esce da te, da una azienda, dal tuo agire quotidiano... va verso l’esterno. Quindi in qualche modo si va a scontrare con quello che è il secondo ostacolo più grande della comunicazione: la diffidenza.
La fiducia in ciò che ascoltiamo e leggiamo ogni giorno è al minimo storico, ed è anche normale. E’ una sana forma di autodifesa per evitare fregature.

Se scegli di uscire, di varcare la soglia... corri dei rischi: addirittura quello di incontrare le persone e far vertere il tuo comunicare su questo.
Fuori dalla propria porta, nessuno ha più sovrastrutture che aiutino ad incanalare un discorso, che "facciano colpo" sull'altro, che si prestino addirittura al fatto che gli altri possano rispondere, dire la propria.

"Si è ciò che si comunica"
cf. Manifesto Parole O_Stili #02

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